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LA PERDITA DELLE SCRITTURE PER UN VIRUS INFORMATICO

La domanda

Sono l'amministratore di una società commerciale in contabilità ordinaria, gestita internamente, che ha perso completamente gli archivi contabili a causa di un virus informatico. Ai fini contabili e fiscali, cosa occorre fare perché la società non abbia conseguenze sanzionatorie?

La perdita delle scritture contabili determina il rischio, in capo alla società, di non poter utilizzare gli elementi contenuti in esse, quale mezzo di prova in caso di contestazioni. Oltre ciò, da un punto di vista fiscale si ritengono applicabili le sanzioni amministrative previste dall’articolo 9 del Dlgs 471 del 1997 (da 1.000 a 8.000 euro). Si tralasciano, in questa sede, considerazioni in ordine ai profili penali in capo all’amministratore e alle ricadute per la società e per l’amministratore in ambito fallimentare. Tentativi di recupero o di ricostruzione, in tutto o in parte, della contabilità appaiono la via percorribile per evitare o limitare l’irrogazione delle sanzioni e delle altre conseguenze anche di carattere penale.Da un punto di vista fiscale, uno dei maggiori profili di rischio in capo alla società è l’ipotesi di accertamento induttivo da parte dell’agenzia delle Entrate (ex articolo 39, comma 2, lettera c, del Dpr 600/1973), a fronte del quale il contribuente potrebbe non riuscire ad addurre alcuna prova valida a propria difesa.La normativa civilistica, all’articolo 2220 del Codice civile, prevede l’obbligo di conservazione decennale, tenuta secondo le norme di una ordinata contabilità (articolo 2219 del Codice stesso). Da un punto di vista fiscale, l’articolo 22 del Dpr 600/1973 stabilisce che le scritture contabili devono essere conservate fino alla definizione di accertamenti relativi al corrispondente periodo d’imposta, il che potrebbe portare al superamento del periodo decennale, specie dopo le modifiche ai termini di accertamento introdotte con la legge di Stabilità per il 2016 (cinque e sette anni, che in alcuni limitati casi portano a un termine di accertamento di 14 anni).Nel caso posto dal lettore, la distruzione delle scritture contabili per effetto di un virus informatico equivale alla mancata tenuta delle scritture contabili, sempreché non si dimostri la forza maggiore, cioè che la perdita dei dati è stata dovuta non a una imperizia, ma a un evento fortuito e imprevedibile (non sempre facilmente dimostrabile).La principale conseguenza della perdita della contabilità è la limitazione all’uso della stessa quale mezzo di prova, in proprio favore, in caso di accertamento fiscale o in altri casi di contestazione (si pensi, ad esempio, all’onere probatorio previsto dall’articolo 1 della legge fallimentare, Rd 267/1942).Solo nei casi in cui la società risulti in grado di dimostrare la forza maggiore, e quindi l’incolpevole perdita della contabilità, si potrebbero superare i limiti probatori, invocando la prova per testimoni prevista dall’articolo 2724, n. 3, del Codice civile. Al riguardo due pronunciamenti della Corte di cassazione (ordinanza 1650 e sentenza 587 del 2010) chiariscono il principio in base al quale solo in caso di perdita incolpevole della contabilità per forza maggiore (incendio o furto) le limitazioni probatorie previste possono essere superate con utilizzo della prova per testimoni, stabilita dall’articolo 2724 del Codice civile, vista in tal caso come possibilità alternativa di dimostrazione della veridicità delle operazioni effettuate.In chiusura, occorre ribadire che, in tutti i casi di pronunce della Corte di cassazione su perdita di contabilità nei quali sono stati ammessi mezzi di prova estranei alla contabilità, la perdita era ritenuta incolpevole.

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