Civile

Chi esclude l’ex dalla vita del figlio perde l’«idoneità» a fare il genitore

di Giorgio Vaccaro

I comportamenti alienanti - ovvero di allontanamento o cancellazione dell’altro genitore dai figli - non sono compatibili con l’idoneità genitoriale. Questo è l’indirizzo della giurisprudenza che si è sviluppata negli ultimi quattro anni, da quando è intervenuta la sentenza 6919/2016 della Cassazione, che ha esaminato il tema della denuncia di sindrome di alienazione parentale nei giudizi che riguardano l’affidamento dei figli minori nelle famiglie divise.

Questa sentenza è stata la prima a portare il ragionamento lontano dalle polemiche sollevate sulla maggiore o minore scientificità di una dinamica relazionale che negli anni è stata oggetto di numerosi studi e che anche ora è al vaglio della comunità scientifica. Nel tentativo di sostenere la ragione di una parte in danno dell’altra, le teorie difensive dei ricorsi arrivate alla Cassazione hanno infatti costretto i giudici a confrontarsi su temi che non appartengono alla diretta interpretazione della norma ma che riguardano la validità scientifica di una teoria. In particolare, si è più volte tentato di negare la rilevanza di comportamenti estremamente dannosi per i minori dato che sono esclusi dal novero delle sindromi, ovvero delle malattie riconosciute. Lo ha fatto lo scorso 29 maggio anche il ministro della Salute, Roberto Speranza, rispondendo a un’interrogazione parlamentare.

Ma cos’è l’alienazione genitoriale? Si tratta di un fenomeno realizzato da comportamenti, messi in atto da un genitore (alienante), di allontanamento morale e materiale dei figli dall’altro genitore (alienato). Da anni, numerosi psicologi hanno attestato la pericolosità dei comportamenti alienanti per la serena crescita del minore che li subisce: perché causano al figlio minore la privazione dell’altro genitore, spesso attraverso comportamenti che squalificano la sua figura e che impediscono anche il libero pensiero e la libera scelta del minore.

Si tratta di comportamenti che, quando vengono denunciati da un genitore nell’ambito delle controversie sull’affidamento dei figli, il giudice è tenuto ad accertare, «utilizzando i comuni mezzi di prova», incluse «le presunzioni, e a motivare adeguatamente». E ciò a prescindere dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della patologia, perché «tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena» (Cassazione, sentenza 6919/2016).

Per rafforzare la tutela della bigenitorialità (introdotta dalla legge 54/2006), la riforma del diritto di famiglia contenuta nel decreto legislativo 154/2013 ha sostituito la “potestà genitoriale” con la “responsabilità genitoriale”: un istituto diverso, che ha reso prevalente l’aspetto del “fare genitoriale a tutela del figlio” rispetto a quello del “divieto”.

Ed è su questa nuova frontiera del “fare” del genitore che la Cassazione, anticipata dai tribunali e dalle Corti d’appello, ha fissato il principio guida che scioglie i dubbi sull’alienazione genitoriale. È stato infatti affermato che, quando la Ctu accerta che si sia costituito un legame simbiotico e patologico tra un genitore e un figlio, che impedisce di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, tale “fare” vada considerato una grave violazione dei diritti del figlio e dimostri la mancanza dei requisiti di idoneità genitoriale, che possono portare il giudice, in concorrenza con le altre prove processuali, ad affidare in via esclusiva il figlio all’altro genitore.

Così, la Cassazione (ordinanza 21215/2017) ha confermato la sentenza di merito che aveva deciso l’affidamento esclusivo della figlia minore al padre in base alle risultanze della Ctu che richiamava anche l’alienazione genitoriale. La Cassazione, però, non ha giustificato l’affidamento al padre sulla base della Pas ma ha analizzato i comportamenti alienanti della madre, che violavano il diritto della figlia alla bigenitorialità.

Di fronte a comportamenti di alienazione, l’orientamento dei giudici è quello di provare a ricucire la relazione con il genitore allontanato. Per farlo, è possibile anche il collocamento del figlio con il padre presso una comunità, che, da un lato, permette al figlio di evitare il condizionamento psicologico determinato dal continuo rapporto con la madre e, dall’altro, offre al padre l’opportunità di superare problematiche che necessitano di un intervento psicoterapeutico (Cassazione, ordinanza 9143/2020).

Le decisioni dei giudici

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