Civile

Scissione con finanziamento dei soci tassata al 3%

di Angelo Busani

Tassato con imposta proporzionale di registro il finanziamento-soci enunciato in un atto di scissione: è questa la decisione-shock, senza precedenti, contenuta in due ordinanze “gemelle” della Cassazione depositate il 5 marzo 2020 (6157 e 6158), dalle quali deriva, in sostanza, che, invece di una tassazione dell’atto di scissione con l’imposta di registro in misura fissa, gli si deve applicare l’imposta proporzionale.

Le decisioni della Cassazione non sono per nulla condivisibili. La tassazione “per enunciazione” è contemplata dall’articolo 22 del Dpr 131/1986 (il Testo unico dell’imposta di registro), il quale sancisce che se in un atto sono enunciate disposizioni «contenute in atti scritti o contratti verbali non registrati» l’imposta di registro si applica, oltre che all’atto enunciante (quello cioè contenente l’enunciazione), «anche alle disposizioni enunciate». Tuttavia, la legge precisa, quale presupposto indefettibile della tassazione per enunciazione, che l’atto enunciante e l’atto enunciato siano «posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione» (su questo aspetto le ordinanze 6157 e 6158 non spendono una sola parola).

Ora, l’atto di scissione è un contratto che interviene tra la società scissa e la società beneficiaria, nel quale si dà esecuzione alle deliberazioni dei soci delle società, aventi a oggetto l’approvazione del progetto di scissione. Se nell’atto di scissione è, dunque, menzionato un credito o un debito da finanziamento-soci (in quanto evidentemente si tratta di una posta che deve passare dalla società scissa alla società beneficiaria), l’atto enunciante (l’atto di scissione) non interviene tra le «stesse parti» dell’atto enunciato (il contratto di finanziamento-soci), in quanto:

l’atto di scissione ha come “parti” la società scissa e la società beneficiaria;

il contratto di finanziamento ha come “parti” la società finanziata e il socio finanziatore: quest’ultimo non è “parte” dell’atto di scissione e ciò impedisce di aumentare la sua tassazione con l’imposta dovuta per l’enunciazione.

Pertanto l’atto di scissione deve essere tassato con la sola applicazione dell’imposta di registro nella misura fissa di 200 euro (articolo 4, lettera f), Tariffa Parte Prima allegata al Dpr 131); e non può essergli applicata, per la carenza di presupposto, la tassazione per enunciazione del contratto di finanziamento-soci, vale a dire (se si tratta di un finanziamento stipulato al di fuori del campo di applicazione dell’Iva) l’aliquota del 3% (articolo 9, Tariffa Parte Prima) calcolata sul valore del finanziamento.

Più in generale, occorre osservare che questa applicazione dell’articolo 22 del Dpr 131 solo nella parte in cui dispone la tassazione dell’atto enunciato (e non nella parte in cui esplicita il presupposto di questa tassazione) sta diventando una questione ricorrente. Infatti, nel recente passato, nelle sentenze 15585/2010 («Il Sole 24 Ore», 12 settembre 2010) e 32516/2019 («Il Sole 24 Ore», 2 marzo 2020), emanate in tema di tassazione del finanziamento-soci in occasione di operazioni sul capitale sociale, la Cassazione aveva deciso nel senso della tassazione del finanziamento enunciato non accennando minimamente nemmeno allora al tema del presupposto impositivo.

Ora, dunque, questo orientamento non più episodico della giurisprudenza di legittimità desta notevole preoccupazione in quanto la notoria sotto-capitalizzazione delle imprese italiane (e, quindi, l’immancabile presenza di finanziamenti-soci, specie nei bilanci delle società a ristretta base sociale) genera l’indubbio timore che, ogni qualvolta si stipuli un atto nel quale “faccia capolino”, direttamente o indirettamente, un finanziamento-soci, si renda a esso applicabile l’imposta di registro del 3 per cento.

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