Civile

Figli minori, vendita al terzo e redditi: i vincoli per assegnare la casa familiare

di Giorgio Vaccaro

Vincoli stringenti all’assegnazione della casa familiare dopo la crisi di coppia. A metterli sono i giudici che, in primo luogo, confermano la priorità dell’interesse dei figli minori in tutte le valutazioni che riguardano, appunto, l’attribuzione del godimento della casa coniugale.

La ragione sta, innanzi tutto, nella chiarezza della norma di riferimento, l’articolo 337-sexies del Codice civile. Infatti, nel disciplinare l’attribuzione dell’uso della dimora della famiglia dopo la fine della convivenza della coppia, la legge prevede come imperativa la tutela dell’habitat per i figli minori coinvolti. La Cassazione è poi stata, negli anni, attenta custode di questo principio normativo, confermando senza indecisioni come l’assegnazione del godimento della casa familiare tuteli l’interesse prioritario dei figli a permanere nella stessa, perché questa è «intesa come il centro degli affetti degli interessi e delle consuetudini, in cui si articola e si esprime la vita» della famiglia (Cassazione, 5384/1990).

I chiarimenti della Cassazione
I provvedimenti più recenti della Suprema corte hanno aggiunto nuovi chiarimenti circa la natura e i confini del diritto a godere della casa familiare.

A partire dalla sentenza 7395/2019, che ha precisato che l’articolo 337-sexies del Codice civile, nel regolare il «godimento della casa familiare» ha istituito, in capo all’assegnatario, un «atipico diritto personale» e non certo una ulteriore tipologia di diritto reale. In base a questo assunto, non può quindi essere richiesta all’assegnatario alcuna «imposta coniugale sugli immobili»: l’onere è collegato alla titolarità di un diritto di proprietà o di un diritto reale di godimento, anche in quota parte.

Nell’analisi della Cassazione resta poi centrale l’effettiva titolarità del diritto di godimento quando si deve determinare l’assegno divorzile. Con la sentenza 9535/2019, la Suprema corte ha infatti spiegato che «l’uso della casa coniugale che sia di mero fatto» e che, quindi, non sia assistito dall’assegnazione in favore di un coniuge non può «essere considerato rilevante ai fini di individuare la consistenza patrimoniale di ciascuno. Trattandosi in questo caso di una situazione precaria ed essendo le difficoltà di liberazione dell’immobile un aspetto estraneo alla ponderazione delle rispettive posizioni patrimoniali e reddituali».

L’ordinanza 9990/2019 è invece intervenuta sulla «opponibilità» al terzo del «diritto di assegnazione della casa familiare», osservando come questa possa valere in danno del terzo acquirente solo se quest’ultimo abbia acquistato la proprietà con la clausola del «rispetto della detenzione qualificata». Altrimenti, «il bilanciamento tra gli opposti interessi - quelli del coniuge assegnatario e del terzo acquirente – non consente di riconoscere un’anticipazione della tutela dell’interesse familiare, fondata sulla mera preesistente relazione tra il nucleo familiare e l’immobile rispetto alla data di acquisto della proprietà da parte del terzo».

L’unicità della casa coniugale
La centralità della tutela del diritto di proprietà dall’effetto, in senso lato, “espropriativo” ha poi animato anche l’ordinanza 10204/2019, che ha escluso «l’assegnazione d’ufficio della casa coniugale» in presenza di figli maggiorenni e non autonomi. La speciale tutela dell’habitat dei figli minorenni, che postula l’obbligo per il giudice di assicurare loro, in modo indisponibile e irrinunciabile, il godimento della casa, non è infatti richiamabile nel caso di figli maggiorenni seppur coabitanti con un genitore: in assenza di una specifica domanda, infatti, il giudice non può provvedere d’ufficio a tutele non previste dalla legge.

Con l’ordinanza 510/2020 la Cassazione è poi tornata sul tema della “unicità” dell’immobile che costituisce la casa coniugale e, quindi, sulla sua assegnazione nella sua totalità, posta l’indivisibilità dell’habitat familiare, quale centro degli affetti e delle consuetudini. I giudici specificano che quando si eccepisce l’autonomia di una porzione di immobile rispetto all’unicità della dimora familiare è onere del richiedente dimostrare «la cessazione del relativo vincolo» per evitare l’automatismo previsto dalla legge.

Le decisioni dei giudici

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