L'esperto rispondeResponsabilità

RISARCIMENTO DANNI PER LA PRELAZIONE IGNORATA

La domanda

Nel 2006 il Cda di un ente pubblico delibera la vendita di un edificio a uso abitativo e lo aliena a terzi, "dribblando" il diritto di acquisto in capo a noi assegnatari. Di recente, sono venuto in possesso di documenti dai quali si evince che il suddetto fabbricato, che ottenne l'abitabilità nel 1990, è stato edificato in regime di un contratto di edilizia convenzionata. Il periodo di validità di questa convenzione va da un minimo di 20 a un massimo di 30 anni, periodo calcolato dalla data dell'abitabilità (Consiglio di Stato, n. 324/2013). Inoltre, in "convenzione", al momento della vendita, il primo beneficiario è l'assegnatario, come statuisce la sentenza della Corte costituzionale 486/1992. Poiché, oltretutto, nell'uno e nell'altro caso (con riferimenti all'anno di deliberazione e all'anno di vendita) non è comunque trascorso il periodo minimo di 20 anni, sono ancora nei termini per chiedere l'annullamento o la revoca della delibera del 2006?

Il quesito pone il caso, invero ampiamente diffuso nella prassi, di ipotesi di vendita, in spregio al diritto di prelazione operato in costanza di convenzioni urbanistiche tra il costruttore e l'ente locale. La fattispecie si arricchisce di interesse, tenuto conto che il costruttore (o comunque chi procede all'alienazione in violazione del patto contenuto nella convenzione) è un ente pubblico.Si vengono perciò a sommare due prelazioni, che trovano due differenti presupposti normativi.Pur nella mancanza di precisi dettagli del quesito, si ritiene che quella stipulata tra il costruttore e l'ente territoriale sia una convenzione urbanistica di edilizia residenziale convenzionata. Con riferimento a tali convenzioni, si è ritenuto che esse abbiano mera efficacia obbligatoria e mai reale, ragion per cui non consentono al prelazionario il diritto di sequela e la possibilità conseguente di ottenere in via esecutiva il bene sperato. A spettare è esclusivamente il risarcimento del danno, sulla base di un'azione chesoggiace ai termini prescrizionali previsti dalla legge (si veda Consiglio nazionale del notariato, studio 521/2011/C).Si deve pertanto concludere che l'azione rivendicativa non può essere esercitata in questo caso, mentre spetta unicamente l'eventuale risarcimento danni.Venendo alla seconda questione, non appare chiaro dal tenore del quesito la causa della vendita da parte dell'ente: se, cioè, si tratti di una operazione di dismissione immobiliare a norma della legge 23 novembre 2001, n. 410, e successive modificazioni e integrazioni, o di un ordinario atto di dismissione secondo le regole del diritto privato. Ove ricorra questa seconda ipotesi, l'ente è libero di cedere a chiunque. Ove si tratti invece di un programma di dismissioni previste dalla legge (cosiddetti Scip, società cartolarizzazione immobili pubblici, 1 e Scip 2, coerenti con l'epoca indicata nel quesito), appare condivisibile quanto sostiene il quesito, nel senso che, salvo che non vi siano condizioni particolari, la prelazione dell'occupante legittimo era di regola prevista. Il procedimento di dismissioni è regolato dalle norme di diritto pubblico, e precondizione per l'avvio dell'evidenza pubblica è la rinunzia da parte degli aventi diritto dell'esercizio della prelazione, o la decadenza dal medesimo. In questa ultima evenienza la deliberazione è nulla in assoluto, e non vi sono termini di decadenza o prescrizione per chiederne l’annullamento.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©